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Gardelli Iacopo

Iacopo Gardelli (Ravenna, 1990). Laureato in filosofia, si occupa di scrittura, giornalismo e critica teatrale. Collabora con giornali locali e riviste (ravennanotizie.it, Ravenna & Dintorni, Corriere di Romagna, Una città), tiene corsi all’Università Bosi-Maramotti e alla biblioteca comunale di Russi.

Tra le sue pubblicazioni, la raccolta “Tre dialoghi” (Sbc, 2010), “Coro a sei voci” (Lemon&Dust 2014) e il romanzo “La città sfinge. Rilettura in tre atti della novella di Nastagio” (Edizioni del Girasole, 2014). Nel 2018 vince il premio nazionale di critica teatrale Lettera 22 come miglior critico under 30 e il premio regionale “Il racconto in 10 righe”, promosso dalla biblioteca Taroni di Bagnacavallo.

Nel 2015 inizia una collaborazione artistica assieme a Lorenzo Carpinelli, per il quale scrive i monologhi “Santa Europa Defensora” (2016), “L’ultimo primitivo. Vita orfica di Dino Campana, scritto con Elia Tazzari” (2017); “La tecnologia va in vacanza” (2018), spettacolo per ragazzi; “Vite da niente. Cronache dall’economia digitale” (2019); “Lo stradone”, monologo finalista al bando regionale RADAR di ERT; e i “Quaderni della quarantena” (2020).

Fra gli altri suoi testi: “Scenderemo nel gorgo muti”, scritto nel 2017 per il progetto Dante in carcere, che vede in scena i detenuti della casa circondariale di Ravenna e gli studenti del Liceo Classico “Dante Alighieri”; e gli inediti L’avvenire è nostro, Carnera, (2018) e Gramsci Gay, per la regìa di Matteo Gatta, con Mauro Lamantia (2019).

Oblomov – Una rilettura

Superata la trentina, per uno strano male dell’anima, Il’jà Il’ìč Oblomov ha rinunciato a vivere. Passa le sue giornate nel suo disordinato appartamento a San Pietroburgo, steso sul divano, battibeccando con l’anziano servo Zachar. Questo equilibrio di noia e regressione infantile viene infranto da due avvenimenti: uno sfratto improvviso e il ritorno dell’amico d’infanzia Andrej Stolz, anima attiva e “occidentale”. Andrej cercherà di risvegliare Oblomov introducendolo alla giovane Olga, ma le sue speranze sono destinate a infrangersi contro il molle scoglio dell’“oblomovismo”. 

Il testo parte dal romanzo di Gončarov e lo fa esplodere, includendovi estratti di opere eterogenee per moltiplicare i punti di vista: dagli scritti tardi di Freud ai comizi di Lenin, passando per le interpretazioni critiche del romanzo fatte da Turgenev e dal radicale Dobroljubov – presenti in scena durante un intermezzo “speculare” al testo originale.

Si offre così, più che un adattamento classico, una rilettura di questo testo, un cambio d’accento, perché, proprio per la sua universalità, Oblomov sembra parlare dell'attuale generazione dei 20-30enni. È uno strano paradosso: sono le parole di un romanziere russo di metà Ottocento a descrivere alla perfezione la nostra apatia, la nostra disillusione, la stessa patologica regressione all'infantilismo e la stessa paura dei rapporti umani.

L'oblomovismo, oggi, resta lo stesso male dell'anima di 150 anni fa, e ammalia lo spettatore con la stessa forza ambigua: che non indichi, per la nostra società tardo-capitalistica, condannata all'efficientismo e, allo stesso tempo sull'orlo del disastro ecologico, una strada percorribile?

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