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Scansani Sabrina

Sabrina Scansani nasce a Milano nel 1995 e vive la sua adolescenza a Bergamo. Dal 2014 risiede stabilmente a Roma, dove frequenta la Scuola di Cinema Sentieri Selvaggi.

Dal 2015 scrive cortometraggi che ricevono riconoscimenti internazionali, come Zebra e Matrioska, e lavora su set cinematografici, grazie ai quali comprende le esigenze produttive per migliorare il suo lavoro di sceneggiatrice.

Si avvicina al teatro nel 2017, scrivendo su commissione Come Dio Comanda e Risotto agli Scambi, entrambi portati in scena in Sicilia. Inizia a collaborare come assistente per Pino Quartullo, produttore e regista teatrale e come copywriter presso l’azienda di comunicazione HEJ!

Nel 2019, scrive Mirrorless, che ottiene la selezione nel festival Dominio Pubblico e va in scena al Teatro India nel 2020.

Fonda una produzione teatrale e cinematografica, la Scrigno Production, insieme al regista Cristiano Ciliberti.

Attualmente sta scrivendo l’adattamento teatrale di un racconto di Gianrico Carofiglio.

Mirrorless

Mirrorless è la storia di Pietro, un giovane e ottuso meccanico di quartiere che una sera scopre il cadavere di suo fratello in camera. Travolto dalle attenzioni mediatiche, viene spinto dall’opinione pubblica a convincersi di essere lui l’assassino, nonostante venga comprovata la sua innocenza, complice il turbolento rapporto che li legava.

Dopo un monologo iniziale dove Pietro ripercorre in modo frammentario quella sera, Pietro viene indotto a raccontare ciò che è successo dall'interlocutore di turno, impersonato dallo stesso attore.

La particolarità dello spettacolo è il meccanismo di evocazione di ispirazione brookiana con cui il pubblico viene implicitamente chiamato in causa: gli spettatori sono “attori passivi” che prestano il corpo a quattro identità ben definite: gli uditori del talk show in cui viene intervistato Pietro, l’audience mediatica attiva sui social network, gli ispettori di polizia che assistono all'interrogatorio, la giuria popolare presente in tribunale al verdetto finale.

Lo spettacolo vuole mettere in scena uno stratificato meccanismo meta-narrativo in cui il protagonista della vicenda si destreggia tra tre livelli interpretazione: l’attore in quanto tale, il personaggio che rappresenta sul palcoscenico e la maschera di personaggio mediatico che indossa, spinto dal sentimento voyeristico dell’opinione pubblica. Esattamente come accade nelle più disparate storie che popolano il nostro tempo.

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Impossibilità di essere un delfino

Olga si trova sul trampolino di una piscina. Sta per tuffarsi ma non riesce a vincere la paura del vuoto. La sua indecisione è talmente evidente che le si avvicina Marta, l'inserviente della piscina, che passa le giornate raccogliendo cartacce e disinfettando a terra. Marta si è tuffata un sacco di volte: non fa così paura. Dopotutto Olga è giovane, se non le fa adesso quelle esperienze, quando le fa? Con la sua corazza di grettezza, Marta offre un punto di vista inedito a Olga, che in realtà deriva soltanto dagli insegnamenti, che lei stessa non ha mai messo in pratica, di suo marito. L'uomo, non presente in scena, è un personaggio invisibile ma talmente tangibile da diventare una sorta di mentore virtuale per Olga, la quale si rende conto invece che Marta ha probabilmente più sovrastrutture di lei.
C'è un'altra ragione per cui Olga non vuole tuffarsi e Marta lo sa, perché è lei che conosce il contenuto dei cestini di tutti: nel suo ha trovato un test di gravidanza. La conversazione si sviluppa fino a toccare le corde più intime della protagonista, con tono surrealista. Cosa sono le figure del marito di Marta e del futuro figlio di Olga se non proiezioni opposte, reciprocamente ipotesi da confutare per assurdo per poter sostenere una tesi? Proiezioni sulla cui costruzione si ritrova il lascito del pensiero di Buber la cui teoria dell’Io-Tu aveva così pesantemente influenzato il lavoro di Bergman in “Persona”.

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