Alla fermata dell’autobus di un imprecisato sobborgo urbano, si trovano a dividere la panchina due individui decisamente male assortiti. Un uomo e Dio. Comincia così l’atto unico Dramma della teofania. L’uomo sta cercando di evadere da una situazione che rischia di sopraffarlo, forse dalla sua stessa vita, costellata di falli. Il dio che gli siede accanto è pressoché irriconoscibile: un vecchio anchilosato e dolorante che non ha nulla di ieratico. Infatti, Dio si è “ritirato” e, ora, vaga senza meta, esercitando la congenita onniscienza solo per stupire chi gli capiti a tiro.
Come in questo caso. Davanti allo scenario di devastazione rappresentato dal mondo terreno, davanti allo scempio perpetrato dall’umanità sulla natura, Dio si è pentito di aver donato ai mortali il libero arbitrio. Il controllo dell’universo gli è sfuggito di mano. L’incontro con l’uomo alla fermata dell’autobus si traduce nell’occasione di un mesto e disperato bilancio e di un atto d’accusa della cupidigia degli uomini, dell’uso scellerato che questi hanno fatto della libertà. Ciò che Dio non si aspetta è che l’uomo replichi. E molto amaramente. La libertà che Dio ha concesso ai mortali è stata sì un dono, ma anche un tormento. Perché la libertà si trascina dietro la responsabilità morale. E l’alea dell’errore. In un crescendo dialettico ed emotivo, tra colpi bassi reciproci, sarcasmo e autentica sofferenza, l’uomo e Dio si scopriranno entrambi soli e bisognosi l’uno dell’altro.