“Brevi interviste con uomini schifosi” è una stanza vuota, piuttosto buia o illuminata con delle lampade al neon, in cui Foster Wallace invita il lettore a sedersi accanto a degli uomini egoisti e repulsivi. Ma se accostiamo le loro voci, se prestiamo maggiore attenzione, ecco che le loro parole inizieranno a suonare stranamente familiari.
“La Parte migliore di sé” parte da questa sensazione spiacevole di consuetudine, da un esercizio di sovrapposizione dei diversi personaggi, e da un controcanto alle prese con il lutto di un amore mancato. L’intero monologo si concentra in uno spazio limitato ed è scandito dal rumore di una spazzola sul pavimento, che pulisce e raschia via polvere e macchie: “Bisogna cancellare tutti i segni. Bisogna trattenere tutti i ricordi”. Perché questa insistenza? Perché i ricordi e il desiderio si alimentano e annullano l’un l’altro? Più si cercano risposte, più si rafforza l’impressione di non poter spingere la verità fino in fondo. E di dover, dunque, ricominciare daccapo.