Loading...

Puntata 2

CANE

Vorrei che tu lo sapessi: ti sbagli. Ti faccio un esempio: quando torniamo a casa dopo aver fatto una corsa al parco, tu hai sudato molto e dovresti farti una doccia calda, invece come prima cosa mi pulisci e mi asciughi le zampe con un asciugamano che tieni lì, vicino all’ingresso, appallottolato sotto il termosifone. Io sto lì e me lo lascio fare. Credo piaccia anche a te. Poi getti l’asciugamano umido lì per terra e vai a spogliarti. Incurante del fatto che qualcuno potrebbe dire che quell’asciugamano puzza di cane, di cane bagnato, che è un odore tutto particolare, per alcuni. Forse ti piace il mio odore nell’ingresso. Come ti piace che il divano sia coperto da un sottile strato di peli, che resiste. Ti piace sapere che qualche ospite potrebbe trovarlo ripugnante, mentre qualche altro ospite potrebbe non notarlo nemmeno. Un modo per distinguere gli ospiti che torneranno da quelli che non torneranno, quelli che inviterai volentieri da quelli che sentirai soltanto al telefono. Ma è da tanto che non ricevi ospiti, e stiamo solo io e te. Tu non dici noi, dici io e te. Ma io credo che segretamente ti piaccia anche pensarci come un’unità. Ti piace che io ti guardi mentre mangi, mentre ti tagli le unghie dei piedi, mentre non fai niente, mentre ti senti uno schifo. A volte ti senti uno schifo. Io lo sento. Pensi che io sia intelligente, lo dici sempre, ma sei tu a stabilire in cosa dovrebbe consistere la mia intelligenza. In cosa ti assomiglio, in cosa ti soddisfo. Eppure ti stupirebbe scoprire il livello di coscienza e comprensione delle cose che posso raggiungere. Non mi riferisco solo al pensiero, io comprendo tutte le lingue, perché comprendo con l’olfatto, intuisco le cose attraverso la temperatura (quella della tua pelle, ad esempio, io posso percepirla anche a distanza), avverto tutti i movimenti, sento in ogni singolo pelo.

Anche tu mi conosci e mi senti. Sai quando sarò felice e quando avrò paura. Sai già al primo lampo, che quando arriverà il tuono salterò in piedi sul divano e tu dovrai venire a stringermi forte, perché quando scoppia un temporale io sento tutta la città vibrare, e tutta la campagna brillare, e tutto il pianeta fremere, tutto quanto risuona nel mio piccolo corpo, è veramente troppo e non posso reggerlo. Mi comprendi più di quello che pensi. Ho lasciato un segno dentro di te. Quando dormi spesso mi sogni e ti chiedi che parte di te io rappresenti, ma non trovi una risposta perché non c’è. Se mi allontano fai un incubo e stringi il cuscino, ma non ti basta. Se scappo lontano, non puoi dormire per via del vuoto. Perché io posso scappare, questo lo sai. Tu mi lasci sempre la possibilità di farlo, ma ti chiedi mai perché torno? Alla mia prima fuga, ho corso più veloce che potevo, non per assaporare la libertà, come forse crederai. Io so già cos’è la libertà. Anche se devo contraddirti: la mia libertà non è poter uscire quando voglio, la mia libertà è scegliere, io scelgo liberamente di appartenere a qualcuno.

Quella sera hai lasciato la porta aperta mentre scendevi a buttare la spazzatura, lo fai apposta, perché io possa seguirti, incurante del fatto che mentre non ci siamo qualcuno potrebbe entrare e rubare qualcosa, dai cassetti o dal frigo. Ma questo a te non importa, dici di non soffrire se ti portano via qualcosa, quel qualcosa non è mai stato tuo, dici. Giù di sotto ho sentito, senza guardarti, che entravi nello stanzino dei bidoni della spazzatura, ho sentito l’odore farsi più forte mentre aprivi e chiudevi la porta. Poi ho sentito che tornavi in cortile e mi guardavi. Sentivo i tuoi occhi puntati addosso. Non hai fatto una piega quando hai visto che facevo la pipì contro la siepe, annusavo il percorso fino al cancello di ferro (che qualcuno aveva lasciato aperto, qualcuno che io non conoscevo, una donna anziana forse? O forse no, una ragazza con i capelli puliti e le mestruazioni, che usciva di corsa, incurante del fatto che qualcuno potesse scappare), uscivo fuori sulla strada e mi mettevo a correre più veloce che potevo.

C’era traffico, troppa luce e troppo rumore. Troppo. Allora istintivamente ho corso verso il limite della città, verso il silenzio, dove i palazzi diventano capannoni con ampi parcheggi, e poi più oltre, dove i parcheggi dei capannoni diventano campi e dove la strada è costeggiata dai fossi. Ho incontrato ratti e rospi e bisce. Ci siamo ignorati a vicenda. E poi ho trovato quel posto. Te lo ricordi.

Ho attraversato un grande parco deserto con delle cave piene d’acqua. Sentivo altri abbaiare, ma erano lontani da me. C’era un altro odore, che io sentivo. Un odore che mi respingeva e mi attraeva. Veniva da laggiù, dalla casa del contadino, quella cascina semi distrutta, non lontana dalla periferia della città, sopravvissuta per miracolo, che ricorderai bene. Dal suo odore indovinavo che era lì da un sacco di tempo, che era stata abitata da tanti corpi, che c’erano state nascite e morti. Esisteva ed era ancora abitata e stava lì a sfregio, guardando la città farsi sempre più vicina con l’aspetto di qualcuno che ringhia per tenere lontano chi non gli piace. Dietro la casa c’era il pollaio. E, anche questo te lo ricordi, lì ho sbranato per gioco diciotto galline.

Il mio muso era coperto di sangue e piume.

Il contadino voleva spararmi, ma ha solo sparato in aria per spaventarmi; quella sera c’era anche sua figlia. Mi hanno chiuso dentro il recinto del pollaio e hanno chiamato il canile, perché a quel tempo ero ancora senza collare. E al canile sono risaliti a te, questa è la tua prima contraddizione, perché il chip nella mia collottola portava al tuo nome, diceva che io ho a che fare con te; ovunque vada, mi riporteranno da te. E se non ti appartengo, visto che tu non possiedi, perché mi hai fatto registrare all’anagrafe canina allora? Al canile dicevano che non mi avevi dato un nome, che il microchip indicava i tuoi dati e nessun nome, o meglio solo il nome con cui mi chiami tu: Cane.

Poi c’è stata la tua seconda contraddizione. Quando prima di rientrare a casa hai deciso di passare dal contadino perché ti sembrava giusto ripagare le diciotto galline. Lui ti guardava storto, avete contrattato sul prezzo, ha detto che la prossima volta mi avrebbe sparato sul colpo e poi mi avrebbe scavato una buca, senza nemmeno telefonarti. Le persone mi amano follemente a prima vista, mi odiano o mi temono: non ci sono mezze misure. Ti volevo chiedere: perché hai pagato le galline? Se, come dici, tra di noi non c’è stato che un incontro casuale, le nostre vite si sono intrecciate così, per una coincidenza, ma per quanto ti riguarda potremmo anche dividerci – se è così allora tu non dovresti rispondere delle mie azioni, giusto?

Mentre guidavi non ti dava fastidio che io stessi sul sedile del passeggero e qualche volta mi hai accarezzato la testa. Tu mi accetti quando ho voglia di giocare, quando appoggio la mia testa sulla tua coscia, ma in quel momento ho capito che puoi accettarmi anche quando uccido dei volatili per gioco. Ho lasciato un segno dentro di te. Che tu lo voglia o no. E credo di aver capito anche perché dici che non vuoi avere. Perché se tu hai me, in un certo senso io ho te. Ma è già così, ti sarebbe bastato solo ammetterlo. È per questo che non inviti mai ospiti e non vai a trovare nessuno? (Se ci andassi, anche senza di me, io poi sentirei l’odore di quegli altri sul tuo cappotto, sulle tue dita, fra i tuoi capelli). Così dici che i cani non appartengono a nessuno, se non alla razza dei cani e alle loro madri cagne. Dici che io non ti appartengo – ti è sfuggito al canile, mentre cercavi di spiegare quella cosa del nome. Così siamo due libere creature, hai detto. È arrogante da parte tua; non lo sai che questa è una cosa che non puoi scegliere tu al mio posto?

Le nostre strade non si sono incrociate per puro caso come credi, sono io che ho scelto. Ho scelto di stare con te, di condividere con te l’eternità. L’ho scelto secoli fa, millenni fa, quando ho smesso di essere un lupo per prendere la forma che tu desideravi. Credi che sia stata l’umanità, a umanizzare i cani? Un po’ arrogante, da parte tua.

Una volta ti ho sentito dire che un cane non ha il senso del tempo, che quando esci di casa il cane che ti ama non sa dire se ritornerai, quanto durerà l’attesa e se avrà mai fine. Questo può essere vero, te lo riconosco: un cane non conosce nulla del futuro. Ma un cane conosce benissimo cos’è il tempo. Un cane porta dentro di sé la traccia del ricordo di tutti i cani che ci sono stati prima, sotto forma di istinto, ed è l’istinto che ci fa scegliere.

Poi c’è stata la tua terza contraddizione, mi hai comprato un collare viola e me lo hai messo al collo, così com’era, con una targhetta che dice solo “cane”, senza numero di telefono.

Dopo la prima c’è stata qualche altra fuga, ma non è successo nulla di particolare, salvo una piccola cosa da niente; comunque ho sempre fatto ritorno senza che tu venissi a recuperarmi. Quindi forse avrai pensato che anche questa volta le cose sarebbero andate così. Ma ti sbagli, le cose questa volta sono diverse. Non poteva più continuare così. Io lì ad abbandonarmi completamente a te, mentre tu ti rifiuti di abbandonarti a me. Mentre tu ti rifiuti di riconoscere quello che c’è stato tra di noi. Per questo, e non perché non ti amo, ma perché io e te amiamo in modo diverso, ho dovuto lasciarti. È proprio così. È finita e non so cosa potrà farmi decidere di tornare indietro, nonostante il tuo sforzo. Perché lo sento, che oggi hai fatto un grande sforzo.

Mi chiedo come hai fatto a trovarmi sul colpo, a sapere dove fossi. Come hai fatto? Ho la sensazione che non te l’abbia detto nessuno, nessuno si è messo in cerca di te.

Quando ho deciso che era finita ho messo in atto il mio piano: scendere in cortile e cominciare a fare un bel casino, come non ne avevo mai fatto, scavare buche, farla ovunque, strappare radici, abbaiare furiosamente, lasciandomi completamente andare contro le biciclette e i motorini sulla strada, farmi afferrare dal collare dal primo inquilino spazientito, farmi condurre all’appartamento della signora.

Ho la certezza che lei pensi di aver improvvisamente scelto di possedermi. Certamente non si sa spiegare come, un attimo prima non mi conosceva e un attimo dopo diceva sì, il cane è mio. Lei crederà di averlo detto istintivamente, di averlo scelto guidata da una forza sconosciuta, quella che a volte ci fa fare azioni incomprensibili in grado di spostarci violentemente da dove siamo e catapultarci lontano, dove non potevamo immaginare. Come accanirsi su quelle diciotto galline. In parte è così, lo riconosco. Ma in parte sono io che l’ho scelta. Scusa, questo ti farà soffrire quando te ne renderai conto. Sono io che ho fatto la prima mossa, ho messo in moto le cose fino ad arrivare da lei. D’accordo, un cane non sa nulla del futuro e non sapevo come sarebbe andata a finire, ma sapevo che così facendo tutto sarebbe cambiato.

E c’è anche un’altra cosa di cui ti renderai conto appena mi vedrai: io non sono un cane, come tu mi hai chiamato, ma semmai una cagna. Lo capirai subito, appena mi vedrai qui, nel mio nuovo appartamento, con lei che si prende cura di me, mentre mi trascino con fatica dal soggiorno alla cucina e dalla cucina all’ingresso con questa mia pancia gonfia di cuccioli.

Adesso tu hai finito di salire le scale, non prendi mai l’ascensore, sento il tuo respiro e il sottile strato di sudore sulla tua fronte, anche per la tensione che stai provando. Deve essere stato difficile per te deciderti a farlo. Venire a cercarmi di tua iniziativa in questo appartamento, da una donna per te sconosciuta. Tu che non vai mai ospite da nessuno. Tu che non conosci il nome di nessun vicino. Ti ho forse dato una spinta per fare qualcosa che non volevi fare? Penserai che non ti sono fedele, ma non ammetterai di averlo pensato. Siamo nemici adesso? Forse qualche volta ci hai viste scendere insieme in cortile per i bisogni, io con lei. Non ho mai visto la luce accesa in casa tua, e non ho mai sentito che tu fossi in zona. Se ci hai viste in cortile, perché hai aspettato qualche settimana, prima di venire a cercarmi? Temo che sia troppo tardi. Lei è di là che taglia una zucca. C’è la radio accesa. Ora sei qui proprio dietro la porta, io ti sento e aspetto solo che tu metta il dito sul campanello e suoni. Non so cosa vi direte, non so se ti farò le feste o mi nasconderò dietro le sue gambe, non so decidere e il cuore mi batte all’impazzata. Lei riempie d’acqua una pentola, poi accende il fuoco. Tu ancora non ti muovi. Lei accende una sigaretta. Hai finalmente deciso e appoggi il dito sul campanello, aspetti qualche secondo. Eccoti: il campanello suona