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Puntata 3

Driiiiin.

Nessuna reazione.

Driiiiin, driiiiin.

Ancora niente.

Ci sono dei momenti in cui il suono

sembra essere assoluto.

Quel drin, in questo momento,

è uno di quei sembra.

Io ansimo e scondinzolo.

Perché il campanello

porta sempre qualcosa di nuovo.

E noi amiamo,

qualcosa di nuovo.

Perché non apre?

C’è nessuno?

Sento Cane ansimare dietro la porta.

Non so se sia realmente dietro la porta, ma sento il suo ansimo.

È un cane, Cane, che ansima molto.

Qualcuno m’ha persino ripreso quando l’ho portato da qualche parte.

Quelle rare, rarissime volte che ho avuto ospiti a casa,

il nostro disquisire era sempre sovrastato dal suo ansimo.

Credo non si parli più in casa mia,

a causa o per fortuna del suo ansimo.

Lo sento.

Sento solo lui però.

Che sia solo?

Percepisco una strana eccitazione percorrermi le braccia.

Non ho mai fatto caso alle braccia,

se non quando sono afflitte da una sensazione di stanchezza,

ad esempio per la spesa.

La spesa portata fin su, per le scale.

Io non prendo certo l’ascensore.

L’ascensore l’ho sempre considerato l’anticamera della morte.

Una sorta di prova generale prima della bara.

So che è macabro, ma ognuno di noi ha le sue paturnie,

diciamocelo.

La mia o meglio, una delle mie, è l’ascensore.

Tornando alle braccia, forse è la prima volta che percepisco

questo formicolio che me le fa sentire vive, protagoniste.

Non ho mai badato all’importanza delle braccia.

Sì le ho usate, le uso tutt’ora.

Come chi sta raccontando le usa per scrivere, per battere

sulla tastiera di un qualche computer personale.

Perché non sono certo le mani, in quel caso.

Ma le braccia, a fare tutto il lavoro.

Il formicolio che chiamerò eccitazione è inspiegabile.

Forse è un formicolio di premonizione, non lo so.

Fatto sta che sto impalata qui fuori e nessuno apre.

Se solo Cane avesse le braccia be’,

sicuramente m’avrebbe aperto.

È un cane ordinario.

Sa voler bene, sa odiare. E sa dimenticare.

Non so se sia maschio o femmina io / io solo ora /

solo adesso me lo chiedo.

Credo sia maschio, ad ogni modo.

E ad ogni modo, risuonerò.

Devo farlo per forza, perché

non posso andarmene da qui senza averci

provato.

È un po’ il difetto di ognuno di noi.

Andarsene senza averci provato.

Stavolta no,

ne farò tre; tre scampanellii uno dietro l’altro.

Magari chi ci vive,

è fuori il balcone che dà su questa città infernale.

E per il troppo traffico, per i clacson per le urla per i fumi,

non avrà sentito il mio delicato drin.

E nemmeno il mio perentorio drin drin.

È una città troppo caotica, diciamocelo.

Non ti lascia pensare.

Quando sei per strada e a me capita spesso /

capita quando scendo da sola o quando devo rincorrere

Cane ch’è scappato da qualche parte /

quando sei per strada devi attivare tutt’una serie

di recettori che io chiamo impropriamente

recettori della sopravvivenza.

Non esistono, credo, ma rendono l’idea.

Sono quei recettori che ti permettono di evitare che

una moto ti tranci di netto le dita dei piedi o che un’automobile

magari vuota, magari senza nemmeno il conducente,

un’automobile che va da sola

ti arroti e amen e poi ti fai una bella degenza di settanta o

novanta giorni in ospedale.

Quei recettori lì sono salvifici.

Sono quei recettori che ci rendono ancora animali.

Magari però quando sei affacciato a fumare una sigaretta,

quei recettori riposano e così tutto il tuo corpo.

Magari quando sei affacciato a fumare,

anche i recettori uditivi / chissà se esistono / saranno

a riposo.

E così io sono costretta a /

/ apro.

Avevo la sensazione che potesse suonare di nuovo.

È che a me il campanello proprio non mi piace.

Non so nemmeno se definirlo oggetto ma se tale fosse,

è un oggetto che direi quasi di detestare.

Ce l’ho perché in epoca moderna come puoi non avere

il campanello.

Sarei anacronistica e già molto di me,

è anacronismo puro.

Ma potessi decidere, tornerei al caro toc toc di molti

anni fa.

È romantico.

Ma soprattutto, è discreto.

Io amo la discrezione, amo che qualcosa si presenti

in punta di piedi.

Non so se sia l’età o se è sempre stato così.

Non lo ricordo; perché con l’età inizio a lasciar andare i ricordi.

Ad esempio non ricordo se ci fosse una siepe,

nei pressi del cancello di casa.

O se l’ho soltanto immaginata,

da quando vivo qui.

Qualcuno dice / calunniatori di sicuro / qualcuno

dice che ci tolgo spesso dei rami secchi,

da quella siepe.

Ma io non lo ricordo.

Non ho aperto a caso, sia chiaro.

Avevo già sentito il primo scampanellio.

Solo che quando fumo non voglio essere disturbata.

Non mi piace fare altro, mentre mi godo la mia sigaretta.

Ne fumo una, soltanto una al giorno.

E non mi va che mi si disturbi.

Sarà perché non ho quello che tutti chiamano “vizio”.

Il mio è proprio un piacere.

Quasi una virtù. Fumo per virtù, ecco.

E quando fumo mi piace isolarmi dal mondo esterno.

Figuriamoci dal mio campanello.

La realtà è che quando fumo, non mi isolo volontariamente.

Tutt’altro.

Quando fumo probabilmente dentro il mio organismo,

accade qualcosa.

Credo sia opera della nicotina.

Ho letto da qualche parte,

che la nicotina è vasodilatatrice.

Ti dilata tutto il sistema vascolare.

Tutte le vene, le arterie fino ai capillari più infimi del mio

organismo, si dilatano così che il sangue possa

scorrere più rapidamente nel mio corpo.

Probabilmente quella corsa pazza del mio sangue,

attiva qualche enzima che dentro il mio cervello,

mi isola.

Non so se sia così.

Ma la faccenda non mi preoccupa.

È una sensazione tutto sommato piacevole.

Non avevo granché da fare.

La zucca era pronta, già tagliata.

Dovevo aspettare che l’acqua bollisse,

mentre la tivù in sottofondo racconta le solite tragedie,

che ormai chiamano soltanto drammi.

Forse le tragedie non esistono più.

Di fronte mi ritrovo questa giovane donna.

Ha i capelli lisci e lunghi; il colore è indefinito.

Quei classici castano chiaro o biondo scuro che non sai mai,

come siano realmente.

E come li percepisca la persona che li indossi.

Tipo questa ragazza, sono certo che se ora esordissi con

che bel castano chiaro, i suoi capelli.

Lei con un rivolo di antipatia mi risponderebbe che in

realtà sono biondo scuro, i suoi capelli.

Facendomi sentire inadeguata.

Sarebbe lo stesso se al posto del castano chiaro,

citassi il biondo scuro.

Mi redarguirebbe lo stesso.

È che non c’è più rispetto per i vecchi.

Ci guardiamo negli occhi.

Ha gli occhi tristi. Mi ricordano i miei alla sua età.

Non è mai piacevole ritrovare negli occhi di un altro,

la tristezza passata. Perché in un attimo te la fa riaffiorare.

Mi giro, guardo il cane che

 

/ i suoi capelli sono castano chiaro /

 

/ sembra suggerirmi, mentre con la lingua penzola,

ansima come se stesse per partorire.

– È che è incinta. –

– È incinta? –

– Sì. So che non si vede, ma è così. –

– È femmina? –

– È femmina. –

– Non l’avrei mai / non lo sapevo. –

– Be’ in fondo, perché avrebbe dovuto? –

Una situazione assurda.

È femmina.

Il mio cane, il Cane con cui mi sono odiata e amata,

quel cane che m’ha lasciato peli ovunque,

peli che hanno formato uno strato inamovibile

sul mio divano, Cane

che non lascia più ch’entri qualcuno nella mia casa

e forse nella mia vita,

è femmina.

E per di più incinta.

Come può essere? Per un attimo,

quando questa vecchia ha aperto la porta e con lo sguardo,

subito ho scorto Cane alle sue spalle,

ho pensato che non fosse Cane, ma solo un cane.

La realtà è che il suo ansimo però è inconfondibile.

E se vogliamo,

sono stata io a non curarmi mai del genere di Cane.

Forse per il fatto stesso d’averlo battezzato “Cane”,

ho creduto non avesse sesso.

O forse sarà stata la strage di polli.

La strage di polli.

Nel mio immaginario, nel mio a questo punto devo dire,

povero e scarno immaginario,

un cane femmina non potrebbe compiere quella strage.

Forse un cane femmina / mi si perdoni ma proprio non /

non riesco a dire “cagna”; mi sa di insulto.

Forse un cane femmina può.

Una strage di polli è cosa da mastini;

questo avrò pensato.

E automaticamente il pensiero è andato al genere maschile.

Un gesto che determina un genere.

Questo è davvero, davvero, davvero stupido.

Come avrò fatto?

La vecchia sembra molto sicura di sé.

Appena aperta la porta, l’odore di albicocca dei miei

capelli puliti s’è scontrato con la sua puzza di fumo.

La vecchia puzza di fumo.

Che poi sul suo corpo sembra quasi un odore di antico.

La vecchia sembra così sicura di sé

che ora stenterà di sicuro a credere che il cane sia mio.

Stenterà,

se io non so nemmeno il genere di Cane.

E non le darei tutti i torti, non potrei.

Sento in sottofondo delle voci.

Non so se c’è qualcuno in casa, non so nemmeno se /

se dovessi fare qualche colpo di testa, tipo prendere

Cane in braccio e portarlo via con la forza /

se venissi inseguita da qualcuno.

Non so niente di questa vecchia.

Abita al piano di sopra, proprio nell’appartamento sopra

il mio,

eppure non ci siamo mai incrociate.

Nemmeno parlate.

Del resto, cosa avremmo da dirci?

 

Cosa avrei da dirti?

Mi piacerebbe chiederlo a questa giovane,

impavida ragazza.

Non so nemmeno se abita qui,

forse è una di quelle che vogliono farti firmare

qualcosa che ti cambi i connotati della

bolletta della luce,

o del gas,

per truffarti e farti pagare tre volte tanto.

Io sono molto attenta ai consumi; non perché

sia avara, in realtà non puoi essere avaro,

se sei povero.

Ma perché credo bisognerebbe prendersi cura della terra.

Battaglie sul clima, sull’ambiente e quelle menate lì.

In fondo mi entusiasmano.

E sono convinta che se spengo la luce o smorzo il gas,

sto contribuendo a salvare il mondo;

ne sono realmente convinta.

Anche quando lavo i denti io /

io quando lavo i denti, tengo il

rubinetto chiuso.

Questo chiaramente ha giovato anche sulla bolletta

dell’acqua, che è molto più bassa.

Lo faccio anche con le stoviglie.

Quando devo lavare quel misero piatto in cui ho cenato,

con la forchetta e il coltello,

anche in quel caso io tengo /

tengo l’acqua chiusa.

Insapono ben bene la spugnetta, lavo e poi

sciacquo tutto in un sol colpo.

Non so se vengano veramente puliti,

ma in fondo a chi importa?

Ci mangio da sempre soltanto io

in quel piatto.

La faccia però,

la faccia di questa ragazza non mi è nuova.

Devo già averla vista da /

devo averla vista altrove.

Non saprei dire dove,

io non frequento posti,

se non quelli necessari alla mia sopravvivenza e da

qualche settimana, alla sopravvivenza di Audrey.

L’ho chiamata come la mia attrice preferita.

In realtà la Hepburn,

non ha fatto nulla per essere la mia attrice preferita,

se non nascere il mio stesso giorno.

Sono quelle cose, quei dettagli che /

non so,

forse persino la faccia di Audrey la cagna,

mi ricorda la faccia di Audrey l’attrice.

Il fatto è che non ho avuto esitazioni.

Forse in quel citofono,

dissi di sì, dissi

Sì, è mio

solo per poterla chiamare Audrey.

E mi è andata bene sia femmina, altrimenti per un

molosso di genere maschio,

sarebbe stato alquanto ridicolo,

forse gli sarebbe venuta anche /

/ una crisi di identità,

ecco cosa.

Una crisi di identità. /

/ fortuna che ora sei al sicuro, Audrey.

E a lei? Dove l’ho già vista a lei?

– In fondo no, perché avrei dovuto. –

– Le serve qualcosa? –

– Qualcosa, dice? –

– Sì, dico, ha bussato per qualche motivo? –

– Ho bussato per Cane. –

– Cane? Sarebbe? –

– Lui. –

– Cioè lei. –

– Sì. Ho bussato per lui. –

– Cioè lei. –

– Cioè lei, sì. Lei. –

(Prendo una pausa.)

(Prende una pausa; la prendo anche io.)

(È un dialogo faticoso.)

(So che non è facile.)

(Lei qui, in piedi, contro la mia porta.)

(Io qui, fuori la sua porta.)

(Mi capisci?)

(Anche volendo, non potrei.)

– Sto cucinando la zucca. –

– La / zucca? –

– Sì. Le piace, la zucca? –

– No in realtà la trovo / la trovo molto dolce. –

– È la sua prerogativa. –

– Sì. –

– È prerogativa della zucca essere dolce. –

– In effetti è così. –

– Com’è prerogativa di Audrey essere una femmina. –

– Audrey? –

– Lei. –

– Ah, l’ha chiamata / –

– È la mia attrice preferita, sa? –

– Immaginavo. –

– Mi diceva che ha bussato per Audrey. –

– Sì, cioè per Cane. –

– E il motivo particolare qual è? Ne ha combinata una delle sue? –

– Quale sarebbe “una delle sue”? –

– Ah, “una delle sue” è / è un’espressione generica. –

– Il generico può essere pericoloso. Cela misconoscenza. –

– Che intende dire? –

(Ma non rispondo; la cosa mi fa sentire superiore)

– Che intende dire? –

– Mi piacerebbe sapere quale sia “una delle sue”. –

– E perché, di grazia? –

– Per capire se Audrey è Audrey o è Cane. –

– Audrey è un cane che ho da / –

– / qualche settimana, certo. –

– E lei come lo sa? –

– Perché io sono di Audrey o meglio, io sono di Cane. –

 

Ha detto proprio così.

Ha composto una frase inusuale,

una frase sintatticamente insolita.

Il linguaggio è importante.

Avrebbe potuto dire che io ero sua,

di sua proprietà.

O peggio, avrebbe potuto

mettere quella distanza infinita tra noi

come quando dice

io e te e mai noi.

Invece no.

Non l’ha detto.

Non ha usato una espressione

comune,

banale,

e se vogliamo anche improba.

No.

Ha detto che lei è mia.

Io ansimo.

Ansimo ancora più forte,

e scondinzolo.

mentre