Loading...

Puntata 5

Il sole è definitivamente crollato. La signora e la cagna attraversano per l’ultima volta l’atrio squallido del condominio di via B. e escono nell’obbrobrio di catrame e terra che si fa fatica a chiamare giardino. La signora fa una smorfia per l’aria pesante che c’è, non degna di uno sguardo la brutta siepe: d’ora in avanti cercherà altrove “sovrumani silenzi e profondissima quiete”. Nella borsa a tracolla, insieme a una ciocca di capelli biondo scuro e rametti secchi, stretta da un piccolo sudario di cotone ricamato in rosso dalle iniziali AA, sta la mano larga e tornita della morta. Le dita piegate ad arte, il pollice unito all’indice e al medio a formare un potente sigillo che, pensa la signora, sarebbe servito da protezione per qualche tempo, almeno fino a che la mano paffuta avesse trattenuto un po’ della linfa residua dei suoi mille terminali nervosi.

 

Dal classico gesto di pace, alle mani benedicenti dei sacerdoti, dalle pratiche gestuali antichissime per canalizzare e trattenere energie alla, solo apparentemente, casuale gesticolazione molto mediterranea di chi per parlare ha bisogno di ridisegnare continuamente il proprio orizzonte, le mani, l’unica parte del nostro corpo che possiamo completamente controllare con la vista e quindi la più illusoria e mendace, sarebbe meglio farsele tagliare. Le cinque dita nelle loro migliaia possibili variazioni sono i segni visibili dietro ai quali si nascondono le immagini profonde della mente. La signora aveva notato subito l’espressività delle mani della ragazza dagli occhi tristi. Povera ragazza, se non avesse citofonato il proprio destino 48 ore prima, ora sarebbe ancora viva. E invece si era presentata puntuale alla porta e la signora le era grata, in fondo si era sacrificata al suo posto. Quando la ragazza era apparsa sulla soglia la signora era convinta di averla già vista da qualche parte, in uno dei suoi sogni, che non erano certo suoi, nessuno è cosi pazzo da pensare di possedere davvero il proprio inconscio, ma erano destinati a lei. O forse l’aveva solo incrociata sul pianerottolo o in ascensore. Ora non ne era più sicura. Aveva confuso il piano della visione con il pianerottolo, stava diventando davvero così vecchia?

 

Andiamo, Audrey! Facciamo quattro passi.

 

Dice la signora girandosi verso la cagna in continua espansione.

Camminano qualche metro sul marciapiede di via B. e sono già ferme davanti a un nuovo cancello. La signora annusa l’aria e ammira finalmente un giardino come si deve, un giardino degno di questo nome, un luogo riparato e sacro che profuma di terra vera, acqua vera e c’è anche un po’ di zolfo nell’aria.

La casa dentro al giardino è un po’ arretrata rispetto alla strada, piante rigogliose e antiche ombreggiano la facciata gotica. Deve essere stata costruita almeno un secolo prima, quando qui non c’era nient’altro. Ora il quartiere è un bosco di complessi residenziali tirati su in quattro e quattr’otto con materiali scadenti.

Senza neppure accorgersene la signora comincia a dare un numero a tutte le finestre. Quella grande al piano rialzato, la settima, crea come la stanghetta centrale di una A vetrata. Sorride come a congratularsi con se stessa per la sua capacità di vedere il segno di A. dove gli altri avrebbero visto solo una facciata.

 

Signora, devo consegnare un pacco. È casa sua questa?

 

La signora si volta, parlano a lei. Audrey ringhia allo sconosciuto.

 

Devo consegnare un pacco. Questa è casa sua?

 

È un corriere alla guida di un furgoncino di quelli che popolano sempre più numerosi le strade delle provincie e delle città.

 

Sì, è casa mia.

 

Risponde la vecchia. Le era venuto così, ancora, d’impulso, quasi le pareva di non averlo detto eppure lo aveva detto. Anche la casa gotica con il giardino sontuoso ora era sua.

 

Buona, Audrey! Cuccia giù.

 

La cagna è molto nervosa, è la gravidanza imminente, l’istinto di conservazione. Il corriere esce dall’abitacolo a consegnare il pacco, Audrey si avventa sull’uomo che lascia cadere a terra il pacco ma non fa a tempo a conservarsi la gamba.

 

(grida di dolore dell’uomo)

 

La signora fa un cenno secco a Audrey che ritira all’istante le zanne dalla carne del corriere. La signora ridacchia, è davvero molto divertita. Il furgoncino riparte di volata. La signora raccoglie il pacco, la bolla di accompagnamento lo conferma: è per lei.  A A da A. Lo manda la sua fazione. Lo aprirà più tardi.

Ora deve pensare a come entrare nella sua diciottesima abitazione. Forse l’ultima, si augura. Finalmente una casa in grande stile. Non come quel buco di fogna che ora la polizia aveva sequestrato dopo il ritrovamento del corpo della ragazza. Disabitato da anni, hanno detto i giornali, eppure lei ci aveva abitato. Un giorno era entrata in quell’appartamento incustodito e c’era rimasta, quelle erano state le istruzioni. E le lettere, quella a A da A, erano lì che la aspettavano. Lettere che avevano un grande potere. Fogli fitti di parole rovesciate che avevano il potere di aprire una porta, non quella dell’appartamento squallido, e nemmeno la porta di un’altra casa più lussuosa, si tratta qui della porta di un’altra dimensione.

La dimensione di A.

Nonostante tutto non bisogna pensare che la signora si occupasse di numerologia o demonologia o facesse affidamento a incantesimi o simili. Servire l’Antagonista era per lei un fatto naturale.

La signora aveva cercato la porta dell’inferno nei disegni intricati delle siepi per molto tempo. L’aveva cercata sotto ai tappetini intrecciati degli appartamenti dei numeri dispari nei giorni di luna piena e nelle fughe delle piastrelle sozze degli ingressi dove gli inquilini spegnevano le sigarette sotto le suole delle scarpe. Aveva guardato in ogni angolo delle buste bianche a A da A, buste che nessuno bagnava di saliva o lacrime, come un bacio ancora negato. Forse aveva scritto lei quelle lettere in una forma di trance? Aveva pensato anche a questo. Non ricordava di avere mai avuto quella calligrafia ordinata ma non poteva escludere di averla quando usciva da sé, quando fumava per esempio, usciva un po’ dal suo corpo. In fondo, anche se nessuno la chiamava da molto tempo, non si chiamava lei stessa per caso Anna? Anna, signora palindroma, oggi si sente sulla strada buona per trovare la chiave di quelle parole rovesciate.

C’era stata un’accelerazione decisiva 48 ore prima quanto la cagna Audrey si era spersa e lei l’aveva presa con sé. Poco prima era arrivata la lettera diversa dalle altre, la lettera bagnata di lacrime firmata Z. Molto sospetto. Anna si aspettava prima o poi che qualcuno dell’altra fazione cercasse di fermarla. Quella Z era certamente una trappola mortale, lo schianto della povera ragazza lo avevo dimostrato. Per fortuna Anna non aveva aperto quella lettera per prima, invecchia sì, ma non abbassa mai la guardia. La ragazza era stata sacrificata. Ora Anna sa che deve agire con cautela se vuole riuscire ad aprire la porta per A e la sua furia distruttrice. La cagna incinta è pronta a partorire i suoi figli come nella profezia. Tutto è allineato tranne Z.

 

Sprofondata nelle sue trame apocalittiche davanti alla casa con il giardino Anna si accende una bella sigaretta. Non ha proprio il vizio. Quello è l’unico piacere che si concede se non si considera quello di servire l’Antagonista e di prodigarsi per il suo avvento. Il fumo le dilata i vasi sanguigni e si spande in lente spirali nel suo cervello, la connette con quello che la circonda più di quanto non facciano i suoi cinque sensi invecchiati. Attraverso il cuoio della borsa sente l’arto mozzato pulsare, anche la mano tiene una sigaretta mistica fra le dita. Le due fumano insieme e senza bisogno di passare dalla porta entrano nella casa senza entrarci davvero. Il suono è attutito ma la visione è nitida, come nelle altre profezie. Questa è la scena:

 

due donne, una giovane e bella e una meno giovane e meno bella, entrambe agghindate a festa stanno preparando la tavola. C’è del cibo. Una bottiglia di vino già aperta. L’ambiente è caldo e accogliente, tappeti persiani a terra, libri alle pareti. C’è un cane maschio che dorme, non è una gran guardia, quello andrà eliminato. La donna meno giovane esce dalla stanza con un bicchiere stracolmo in mano, il vestito che le fascia i fianchi scoppierà da un momento all’altro. La giovane approfitta della sua assenza per controllare la sua immagine in uno specchio. La donna matura ritorna poco dopo in compagnia di un uomo ancora giovane che sembra un vecchio, carico di bottiglie di vino. Anna lo ha già visto da qualche parte, su che piano però non sa.

L’uomo ha già bevuto molto, ci vuole poco perché beva ancora. Anna non sente quello che dice, non ne ha bisogno, capta le vibrazioni della sua voce: è un poeta. Un folle che gioca con i sensi delle parole, non sa chi è ma canta un dolore che viene da lontano, una preghiera per ammansire le belve feroci. È un poeta e canta l’armonia dei contrari. Questa smania di unire gli opposti ad Anna non piace per niente e sicuro non piacerebbe nemmeno al suo padrone. L’uomo nell’enfasi alcolica sale con un piede sulla sedia, l’altro sulla tavola e si guadagna un palco in mezzo alle vivande. La donna meno giovane batte le mani eccitata. La giovane resta in disparte.

L’uomo si cava dalla tasca un foglio scritto a mano, ha portato qualcosa da leggere alle sue commensali. Un fulmine si schianta ai piedi di Anna. Riconosce il foglio rigato di lacrime. Quello è Z? O è un suo tramite? L’uomo ondeggia pericolosamente sul tavolo, un bicchiere cade a terra, ritrova stabilità poi apre la bocca per soffiare la sua nuova sentenza a morte, quando la porta della sala da pranzo si apre, lui perde l’equilibrio e cade. Entra Audrey. Come fosse passata attraverso le pareti, la cagna è entrata nella stanza, raggiunge il centro del tappeto e atterra stravolta dal peso del suo ventre gonfio e dolorante.