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Puntata 6

Il ventre gonfio e dolorante.

La cagna ha il ventre gonfio e dolorante.

E ti ripugna.

Avresti preferito fosse un maschio, dì la verità.

È tutto lì il problema?

Smettila.

 

Si disse.

 

Stai esagerando. Hai superato il limite. Il racconto sta sostituendo il reale. E il tuo ragionare sul racconto che crei si sta sostituendo a te.

Esiste una legge, una morale, un’etica che impedisca al pensiero di manipolare il reale?

Credo che nessuna legge esista.

Ma dovrebbe.

Il pensiero può provocare omicidi.

 

Il pensiero

può

provocare

omicidi.

 

Dovrebbe arrivare un giudice a dirti di smetterla di pensare.

Darti una multa su certe fantasie.

Metterti in galera per pensieri molesti contro te stessa.

Non c’è nessuna vecchia lì fuori, nessuna vecchia con mano mozzata nella borsa.

Non c’è niente di perverso in una cagna incinta.

Cosa stai pensando?

Perché non ti unisci a quei due che conversano piacevolmente…?

 

Lei non sta bene, non le dona quel vestito attillato.

 

Chi se ne importa… siamo qui noi soli in casa a festeggiare… con il nostro vicino bizzarro, lasciato dalla fidanzata… siamo buone, lo aiutiamo a uscirne… è un bel gesto.

 

O l’aveva immaginato? La sua fidanzata a bordo piscina le aveva raccontato che lui era stato lasciato dalla fidanzata… e che il cane era scappato dal giardino per andare a casa di lui… era così o l’aveva immaginato?

Osservò allora la mano grassoccia. Era graffiata, dunque qualcosa di vero c’era.

E la vecchia lì fuori?

 

Esisteva?

 

A cosa serve tutto questo?

A cosa giova?

È una difesa della mente per accettare il reale… o per sfuggirlo?

 

In ogni modo deve essere una sorta di dipendenza ormai.

 

Creare storie.

 

Quest’ultimo risvolto di trama cioè la vecchia assassina con mano mozzata nella borsa doveva essere partito quando in piscina aveva letto quell’articolo

 

Una donna questa mattina è stata trovata morta in un appartamento di via B, riversa a terra…

 

Sì, doveva essere lì che la fantasia era ripartita legandosi alla trama che aveva costruito, che andava costruendo da anni e che ormai era un doppio della sua vita o, forse, a questo punto era la sua vita vera.

Ora la sua fidanzata stava parlando con quell’uomo, erano davanti a lei, mangiavano tartine…. ma lei non riusciva ad ascoltarli perché si era messa ad immaginare…. doveva esserci qualcosa di irrisolto nella sua vita, qualcosa di dannatamente non risolto se la sua mente andava a pensare a questa vecchia di nome Anna, che poi era la stessa vecchia che vedeva nel condominio a sistemare la siepe… si chiamava davvero Anna quella vecchia? E perché si perdeva a pensare a lei? Cosa diavolo voleva di più dalla vita che una dolce compagna e una casa con piscina? Visto che quella morbida e ricca anima pia che la amava e che a tutti gli effetti era la sua fidanzata sembrava aver risolto tutti i suoi problemi di identità, di ricerca di equilibrio…visto che stava bene negli ultimi anni, mai stata meglio in vita sua. Visto che aveva trovato l’equilibrio…

Perché, allora, quell’ultimo inquietante risvolto nella trama della storia?

 

Non c’è niente di male.

 

Forse aveva, semplicemente e felicemente, una mente artistica. Forse stava scoprendo di essere davvero una scrittrice. Era questo essere artisti? Costruire trame parallele al reale?

In questo momento la sua compagna e il vicino di casa in lutto per la fine di una relazione (probabilmente- visto che non ne era così certa, ma per cos’altro era lì allora?) quei due che mangiavano tartine con hummus di barbabietole… non erano il suo fuoco, li guardava senza vederli, lei stava pensando a quella vecchia, fuori dalla loro casa, che li fissava, una mano mozzata con le dita a forma di sigillo nella borsa… non riusciva a non pensarci.  E, in fondo, si sentiva fiera della sua capacità immaginativa, così feconda. Queste fantasie di solito le appuntava in una cartella sul computer con scritto “Appunti”.

Ma questa fantasia era più ricca e nuova delle altre… che parlavano di lei e della sua fidanzata, erano trascrizioni più o meno fedeli di ciò che accadeva fino a quel momento… Tempo prima invece aveva preso il punto di vista del suo cane… cagna o, appunto, di quella vecchia che metteva in ordine la siepe del suo palazzo, dove abitava prima di trasferirsi qui… con che stile scriveva allora?

Sicuramente lo stile di quest’ultima fantasia della vecchia con mano mozzata nella borsa arrivava da lontano, dall’infanzia di letture di Roald Dahl o Dickens…  evidentemente il suo immaginario doveva essere codificato, articolato, costruito sui libri inglesi per l’infanzia… i racconti di Edgar Allan Poe? Stephen King? O cos’altro? D’altra parte siamo costruiti sugli immaginari degli altri, sulle parole degli altri. Si può ribellarsi ad un immaginario? Si può veramente? Si può ribellarsi ad una certa idea di patriarcato? Cosa c’entrava il patriarcato ora? C’entrava il patriarcato in questo suo disgusto/attrazione per quella vecchia e quella cagna incinta? O era una pulsione che si ribellava ad esso? Ecco che precipitava in un caos di pensieri e doveva dunque precipitarsi a bere un bicchiere di vino sperando che qualcosa si dipanasse nella testa… cosa che infatti fece… si versò un bicchiere di barolo pensando che forse il vino arrivava da prima della civiltà patriarcale era usato nei baccanali infatti… per immaginare nuovi linguaggi e racconti… ma l’estasi bacchica non usciva dal linguaggio per tornare al corpo? Dunque era uno strumento anch’esso di controllo della parola del femminile o la sua liberazione? Decise di smettere di chiederselo così come smetteva di farsi problemi etici mangiando il fois gras, che la sua compagna le comprava perché a lei piaceva tantissimo, bastava evitare di pensare alle oche… bastava evitare di pensare che la villa con piscina fosse uno status symbol degli anni ’80 o ’90… non se ne usciva si doveva per forza essere dei meschini esseri umani per stare al mondo a meno di non vivere in un eremo come Grothendieck, il più importante matematico del ‘900 che tuttavia si era pentito di tutto ed era andato a vivere da monaco… al freddo… ma non era anche quello un modo per fuggire dal reale? In ogni modo prima o poi anche lei lo avrebbe fatto avrebbe trovato il coraggio di lasciare tutto… ma era una scusa la vera sfida era trovare il suo stato monacale artistico anche qui, in questa villa ricca con piscina l’importante era lo stato interiore era il contatto con il proprio stato inter… riusciva a fare tonnellate di questi pensieri, in continuazione, mentre era lì con la sua ragazza e il loro vicino… che non potevano capire, nessuno poteva capirla… mentre si consigliavano su come addensare al meglio l’hummus, se farlo misto di ceci e barbabietole… non doveva bere, si annoiava ancora di più se beveva… nessuna orgia rituale in cui inserirsi… non sapeva, veramente non si sapeva come uscirne.

La vecchia era venuta a chiamarla.

Ora gli occhi della vecchia, fuori da quella casa, si facevano rossi, producevano dei laser, delle linee di luce rossa che andavano ad ipnotizzare la ragazza in sovrappeso con il vestito attillato e l’uomo mentre la cagna partoriva delle creature sovrumane, sovracagnesche e radioattive che la ragazza più giovane e bella e cioè lei stessa era chiamata a crescere di nascosto in attesa di ordini dall’Antagonista. Gli altri non potevano vedere tutto questo. Solo lei poteva vedere la parte oscura che si celava sotto la loro vita. Solo lei poteva conoscere il mistero di A e di Z. Lei era l’eletta.

Che c’è tesoro? Stai bene? Ti sei imbambolata? A cosa stai pensando? Niente. Ho bevuto un po’.

Ora avrebbe scostato la tenda per vedere se la vecchia c’era ancora… Lo fece.

Cosa c’è? Niente, mi sembrava di aver sentito un rumore fuori. C’è qualcosa? No.

La vecchia non c’era. Se n’era andata. Sarebbe tornata quando lei era sola, senza compagnia. O quando la cagna avesse partorito. La vecchia la chiamava a collaborare? O voleva vendicarsi di lei? Lei doveva essere punita per la sua ascesa sociale da condominio a casa lussuosa? Perché? Perché doveva sentirsi in colpa per questo? Chi le aveva inculcato questo senso di colpa? Non se ne usciva. Esisteva sempre una narrazione del reale che veniva ad inquinare tutto.

La vecchia era senza dubbio un personaggio ambivalente. Quando l’aveva conosciuta abitava in quel condominio anonimo… era il tempo in cui si era lasciata con il suo ultimo fidanzato e c’era stata la questione del cane… Era lì che aveva cominciato a fantasticare. Con quella vecchia, osservandola sistemare la siepe.  La beatitudine del fantasticare faceva sfuggire la noia. E la frustrazione. Si ricordava di aver trovato questa frase allora: gli altri sono proiezioni, sempre e solo proiezioni di qualcuno che abbiamo conosciuto nell’infanzia. Non sapeva se questa era una frase che aveva sentito o se se ne era convinta da sola. Ma le sembrava vera. Noi amiamo o odiamo qualcosa perché ci ricorda qualcosa che abbiamo amato o odiato nell’infanzia. Dunque cosa vuol dire “amare” e “odiare”?  Una volta adulti cosa c’entra l’”altro”, in fondo?  Quando aveva scoperto questo, il potere lenitivo di questa considerazione, aveva cominciato a fantasticare. A modellare gli altri secondo quel che serviva a lei. E ne provava soddisfazione. Per questo, forse, si era scelta quella compagna morbida e quieta, perché era sufficientemente insignif… da poter essere modellata secondo la sua soddisfazione. Si vergognava di quel pensiero perché era crudele e infatti quella parola insignif… non riusciva a dirla, nemmeno nella testa. Ma non gliene veniva un’altra… le veniva “palese” dopo aver scartato parole come “banale”, “scialba” no, poverina. Era dolce. Generosa. La amava.

Aveva bisogno esattamente di una così, per stare serena. Oltre al fatto che questa compagna le aveva fatto una corte spietata, l’aveva lusingata, adorata, aveva condiviso con lei le sue ricchezze… tanto che aveva pensato, per qualche tempo, che davvero esistesse l’amore.

 

Allora si chiedeva perché, ora, quella vecchia tornava in modo così reale, ambiguo e insistente. Forse semplicemente per quell’articolo. Qualche parola dell’articolo che aveva letto in piscina… i rami secchi ritrovati…  le aveva fatto ricordare quel condominio e quella vecchia e, con una fantasia, aveva legato i fatti del suo cosmo personale al fatto di cronaca con una trama che però, non si poteva negare, la inquietava.

Da dove era uscito l’Antagonista cui la vecchia obbediva?

Con questi pensieri si mosse verso la scala che portava al piano superiore.

Dove vai?

Niente, mi è venuta in mente una cosa, scusate… rispose gentile ma senza voltarsi alla donna col vestito attillato- veramente troppo attillato- che si lasciava alle spalle mentre saliva le scale. Si dirigeva in camera sua, al suo computer per rileggere ciò che aveva scritto finora…  in quella cartella “Appunti” che giaceva sul desktop…

Sul primo pianerottolo le sembrò di intravedere fuori, dalla finestra, la sagoma scura della vecchia… era senza dubbio l’effetto del barolo… ma ebbe lo stesso paura di guardare e continuò a salire, il cane le stava alle calcagna arrancando cioè la cagna, quell’animale che lei detestava e che si teneva come una nemesi personale… Ma era sempre stata lì quella cagna? Non era sparita ad un certo punto? Era in confusione, non sapeva davvero più cosa aveva scritto o vissuto…  arrivò quasi trafelata al computer, alla cartella di nome “Appunti” dentro la quale era conservato il file che si chiamava… “L’Antagonista”. L’Antagonista. Certo, si chiamava l’Antagonista il file. Come mai fino a quel momento non ci aveva fatto caso? Dunque L’Antagonista c’era già. Non era un elemento dell’ultima fantasia. Ma perché avesse chiamato quel file “L’Antagonista” non si ricordava assolutamente. Ci pensò un attimo ma non perse troppo tempo a chiederselo, lo aprì e cominciò a rileggere da capo tutto quanto aveva scritto.

 

La signora camminava davanti a me, testa grigia e passi tra altre teste e altri passi. Si è fermata. Ha tolto con cura dei rami secchi da una siepe di un cancello di un palazzo qualunque.

Ho pensato, guarda, c’è chi tiene alla bellezza di tutti, alle cose che migliorano il tempo, a che lo sguardo si appoggi sull’armonia e non sul disordine, guarda.

Ho pensato, no, io no, non lo faccio.

 

Le aveva scritte lei quelle frasi?

 

Poi l’ho vista entrare nel cancello di quella siepe di quel palazzo. Il suo palazzo.

Ho pensato, c’è sempre dell’interesse nella bontà.

E l’ho trovato un pensiero rassicurante.

 

Aveva scritto queste parole tanto tempo fa, le sembrava che le avesse scritte qualcun altro, nonostante il pensiero lo riconoscesse come suo, senza dubbio.

Continuò a leggere… curiosa di quella “lei” di prima.

 

E di quello che non hai, di certo non ti occupi. Che meraviglia.

 

Questa frase la riconosceva. Era il suo pensiero, la sua matrice.

Ma perché aveva chiamato quella cartella l’Antagonista?

Doveva aver fatto un pensiero allora, a proposito. Ma che pensiero aveva fatto? Non si ricordava.

 

La signora con i capelli grigi che abitava nel palazzo con il cancello grigio con la siepe verde con i rami secchi…

 

Si ricordava quel momento, quel passaggio magico ad una nuova dimensione, il momento cioè in cui si comincia a creare dei personaggi accomodando il reale…

Forse era stata la vecchia ad innescare tutto. Era una figura perfetta. Così come il cane… cioè la cagna. Figure perfette su cui costruire. Presenti eppure distanti. Le ispirazioni non devono essere viste troppo da vicino. Se ci si compenetra non si riesce più a scrivere storie avvincenti. Come quei quadri impressionisti. Se stai troppo vicino vedi solo puntini. Alla giusta distanza si vede il disegno chiaro, lineare, quieto. Si vede una storia. Che in realtà una storia non ci sia ma ci siano solo puntini… perché dirselo?

La cosa importante era costruire una storia sufficientemente avvincente, guardare il disegno da fuori… da troppo tempo si era persa nei puntini colorati di quella villa e della sua fidanzata. Si era mischiata, i puntini erano ormai indefiniti, senza disegno. Doveva staccarsi.

Scrivi una storia che duri, che abbia una continuità. A che altro serve la tua vita? Ma rimase incerta su quale storia cominciare a raccontare. Perché poteva anche darsi che la storia fosse la sua, ma raccontata dal punto di vista di quel vicino che ora chiacchierava al piano di sotto con la sua morbida fidanzata… era una delle trame che aveva già cominciato ad immaginare… oppure poteva essere la storia del suo cane… della sua cagna incinta… anche quella era una storia che già aveva iniziato a scrivere… oppure quella della vecchia … ma una storia si doveva scrivere.

Di cosa aveva paura?

Che il racconto non fosse avvincente. Che poi era la stessa paura che aveva per la sua vita. Era ormai perduta? Cosa doveva fare per scrivere un racconto che avesse valore? Andarsene nei boschi per succhiare tutto il midollo della vita? L’Antagonista è la letteratura, si disse. È il cinema americano, si disse poi. È il meccanismo del racconto stesso, si disse dopo. E non sapeva se tutto questo la mente lo elaborava per farla sopravvivere al senso di fallimento della sua vita o se la mente le stava dicendo, in modo veritiero, che tutta la letteratura e il cinema e il linguaggio stesso del mondo occidentale le impedivano di essere libera e felice di vivere la sua vita. O di scrivere la sua storia. Ma le due cose davvero coincidevano? Per scrivere una storia non bisogna staccarsi dalla vita? È il patriarcato. Prima ha impedito alle donne di godere e ora impedisce loro di raccontare. E che dicessero quello che volevano, era vero. È la società del consumo. Qualunque cosa sia bisogna liberarsene. Con quella fidanzata aveva pensato di esserne uscita, finalmente, di non aver più paura di una pretesa produttiva e lineare da parte della società. Ma ora subentrava una paura più fonda. La paura che una felicità interiore autentica fosse stata venduta per sempre- chissà da quanto tempo e senza possibilità di riscatto- alla quiete di un modello narrativo funzionante. L’unica speranza le veniva da quella parola: Antagonista. Era così rincuorante che ci potesse essere un vero Antagonista da scoprire. Ma dove? E se tutti questi pensieri fossero un modo per non guardare una verità, qualcosa di fondo e reale, seppur inquietante?

 

Basta.

 

Si disse.

 

Smettila di pensare e fai qualcosa.