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TESTO

Superata la trentina, per uno strano male dell’anima, Il’jà Il’ìč Oblomov ha rinunciato a vivere. Passa le sue giornate nel suo disordinato appartamento a San Pietroburgo, steso sul divano, battibeccando con l’anziano servo Zachar. Questo equilibrio di noia e regressione infantile viene infranto da due avvenimenti: uno sfratto improvviso e il ritorno dell’amico d’infanzia Andrej Stolz, anima attiva e “occidentale”. Andrej cercherà di risvegliare Oblomov introducendolo alla giovane Olga, ma le sue speranze sono destinate a infrangersi contro il molle scoglio dell’“oblomovismo”. 

Il testo parte dal romanzo di Gončarov e lo fa esplodere, includendovi estratti di opere eterogenee per moltiplicare i punti di vista: dagli scritti tardi di Freud ai comizi di Lenin, passando per le interpretazioni critiche del romanzo fatte da Turgenev e dal radicale Dobroljubov – presenti in scena durante un intermezzo “speculare” al testo originale.

Si offre così, più che un adattamento classico, una rilettura di questo testo, un cambio d’accento, perché, proprio per la sua universalità, Oblomov sembra parlare dell’attuale generazione dei 20-30enni. È uno strano paradosso: sono le parole di un romanziere russo di metà Ottocento a descrivere alla perfezione la nostra apatia, la nostra disillusione, la stessa patologica regressione all’infantilismo e la stessa paura dei rapporti umani.

L’oblomovismo, oggi, resta lo stesso male dell’anima di 150 anni fa, e ammalia lo spettatore con la stessa forza ambigua: che non indichi, per la nostra società tardo-capitalistica, condannata all’efficientismo e, allo stesso tempo sull’orlo del disastro ecologico, una strada percorribile?

AUTORI:

Gardelli Iacopo