In un luogo indefinito – forse un appartamento, una palude d’attese. Da chissà quanto tempo.
Cinque donne, come cinque impressioni dello stesso urto, cinque anonime parole dello stesso centro, cinque facce coagulate nello stesso pianto, architettano in silenzio una vendetta contro i propri stupratori.
Sono cinque donne sull’‟orlo dell’esaurimento”, camminano sulla scena come camminassero su un precipizio. E non prima d’aver saggiato a vicenda la solidità dei propri intenti, d’aver sancito l’estremo passo, cercheranno di adescare i loro aguzzini tramite la creazione di un sito (www.statuesanepersassi.com), una porno-chat – per l’esattezza –, e dando loro appuntamento per un esiziale incontro.
Ovviamente, fingendosi altre, ordendo una vera e propria mantica della menzogna, cercheranno di evitare la realtà del “fattaccio”, ora dirottandola nel virtuale, ora nel sacro, ora nella zooiconologia, senza accorgersi di evocare quella realtà – e forse, volendolo pure fare, ma proprio senza essere in grado di capirlo.
Di tanto, però, entrare in questo sito comporterà assistere obbligatoriamente ad una “pubblicità” condotta da due figuri – proiettati su due teleschermi – i quali ci mostreranno: l’uno (detto “One”) un futuro distopico quanto sereno; l’altro (detto “Two”) come questa fantomatica serenità del futuro diverrà, invece, causa di un incurabile sconforto.
Le Nostre, lungo il corso dei momenti, dovranno stare attente nel riuscire a fare bene i conti, in se stesse, sia con un inespresso precetto di F. Nietzsche: “se guardi a lungo l’abisso, anche l’abisso guarderà in te”; sia con un inespresso concetto di E. Severino: “non solo far soffrire, ma anche soffrire è violenza”.